Lost in Translation

Suntory Time

“La lingua giapponese può esprimere tutto ciò di cui ha bisogno, ma le norme sociali giapponesi spesso richiedono alle persone di esprimersi indirettamente o in modo incompleto”.1

Chi, da non giapponese, non si è mai perso nei meandri di una lingua e di una cultura tanto affascinanti quanto, a prima vista, incomprensibili? Dopo tutto, hanno quattro sistemi grafici (hiragana, katakana, romaji e kanji, quest’ultimo composto da migliaia di caratteri di cui poco più di duemila vengono insegnati nelle scuole), che possono essere facilmente combinati per formare frasi scritte intelligibili. La lingua parlata non ha punti di contatto con la nostra e anche le parole di origine straniera, che sono presenti nel vocabolario giapponese, si pronunciano diversamente. La grammatica è diversa dalla nostra (il verbo è posto alla fine della frase e leggendo una traduzione letterale sembra di sentire parlare il Maestro Yoda. Senza offesa, sono un fan di Star Wars!). Per non parlare del mito della “vaghezza” della lingua giapponese.

“No, il giapponese non è la lingua dell’infinito. Il giapponese non è nemmeno vago. Sony, Nissan e Toyota non sono arrivate dove sono oggi comunicando dietro nuvole di incenso. I giapponesi parlano e scrivono come fanno le altre persone alfabetizzate”.2

Quindi le incomprensioni sono dietro l’angolo, soprattutto quando si ha a che fare con una lingua “diversa” come può essere il giapponese. E la tentazione di etichettarla come “inconoscibile” e “misteriosa” o addirittura “esoterica” è sempre potente e anche molto rassicurante. Una cosa che dobbiamo ricordare è che la lingua e la cultura giapponese si rivelano quando vengono contestualizzate. Niente in Giappone esiste fuori contesto, “Ogni cosa al suo posto e ogni posto per ogni cosa” (ne parlerò più dettagliatamente in una prossima newsletter. Stay tuned!).

Nella pratica delle arti marziali e dello Iaido in particolare, ci imbattiamo inevitabilmente e continuamente in parole ed espressioni giapponesi che spesso facciamo fatica a comprendere veramente. Prendiamo ad esempio i nomi dei kata (forme). Volerle tradurre letteralmente spesso per noi non ha senso e, nella migliore delle ipotesi, possono sembrarci sfuggenti o troppo evocative. Solo con la pratica della forma i nomi acquistano un significato preciso. Per dare un’idea prendo ad esempio il nome di un kata  del kumidachi  dello stile che pratico: nami-gaeshi, che significa “onda che ritorna”. Poetico vero? Peccato che il nome in sé non significhi nulla e anche nella pratica, se non si fa attenzione, non si capisce molto del perché gli abbiano affibbiato quel nome.

Quindi dobbiamo prestare attenzione. Dobbiamo contestualizzare.

Ma perché dobbiamo prenderci la briga di capire queste cose e non limitarci a eseguire kata e kumidachi come ci è stato insegnato e finirla lì? Innanzitutto per non limitarci a una pratica sterile. E poi, perché, nel ventunesimo secolo, dobbiamo fare uno sforzo di ulteriore comprensione, sia per noi stessi che per gli altri (i nostri studenti o compagni di classe meno esperti), per evolvere nella pratica e per farla evolvere. Quindi cosa dovremmo fare? Fare un corso intensivo di giapponese? Non è necessario, anche se studiare la lingua è estremamente interessante e stimolante. Dobbiamo prestare attenzione, dobbiamo usare lo Zanshin.

Zanshin (残心), nel contesto delle arti marziali, è uno stato di consapevolezza, di vigilanza rilassata. Una traduzione letterale di zanshin è “mente presente”. È un aspetto mentale mantenuto prima, durante e dopo l’azione. Questo è un aspetto da ricordare sempre: l’attenzione deve essere applicata in ogni momento e deve essere un’attenzione rilassata. Questo vale non solo durante pratica nel dojo ma in ogni aspetto della nostra vita. Applicare lo zanshin ci rende sempre consapevoli delle nostre azioni. Con l’allenamento, dovremmo riuscire a essere in zanshin quando svolgiamo le nostre attività quotidiane, sia a casa che sul posto di lavoro. Attraverso lo zanshin possiamo imparare a “leggere” persone o situazioni. Lo zanshin è uno strumento che va allenato giorno dopo giorno e che ci permette, ad esempio, di fermare il treno dei pensieri che a volte invade la nostra mente. È il mezzo che ci fa vivere nel qui e ora e allo stesso tempo ci tiene constantemente nel flusso. Lo zanshin è quindi uno strumento potente ed essenziale per allenarsi bene e per vivere una buona vita.

  1. “Making Sense of Japanese. What the Text Don’t Tell You.” Jay Rubin (Reprint Edition 2013).
  2. op.cit.