Ovverosia l’efficacia delle arti marziali
Sono sempre stato un appassionato di fumetti e, grazie al fatto che lo era anche mio padre, a casa nostra non sono mai mancati e quindi potevo tranquillamente leggere sia fumetti adatti alla mia età, sia quelli adatti ai più grandi (ricordo ancora oggi, e rileggo sempre con grande piacere, i fumetti di Mandrafina , e la bellissima serie “L’Eternauta”). Nella mia fase di appassionato di albi dei supereroi sia DC che, soprattutto, Marvel ricordo infinite discussioni con i miei amici su chi fosse più veloce tra Flash e Superman (sembra Flash) o più forte tra La Cosa e Hulk (senza dubbio il Gigante di Giada).
Penso che sia capitato a molti praticanti di avere avuto discussioni simili dentro e fuori il dojo: cosa funziona di più, il karate o il judo? È meglio il jujutsu o il kung fu? Ma l’aikido è davvero un’arte marziale? E se sono nel bel mezzo di una rissa qual’è la più efficace? Quale di queste discipline è la migliore per l’autodifesa? E così via.
Sul rapporto tra arti marziali e autodifesa poi si potrebbe scrivere un’intera enciclopedia, ma volendo citare Shirai Sensei (10° dan di karate, uno che sa cosa significa combattere per davvero) la cosa migliore da fare in caso di una rissa è togliersi dai piedi velocemente. O, parafrasando Ramon Rojo nel film “Per un pugno di dollari”, quando “un uomo con una pistola incontra un uomo disarmato, l’uomo disarmato è un uomo morto”. Quindi la questione della cosiddetta efficacia non dovrebbe nemmeno sorgere, dal momento che non siamo né Navy Seals addestrati al combattimento né Remo Williams1
E in ogni caso, questo non dovrebbe essere lo scopo primario della pratica delle arti marziali in generale, figuriamoci poi dello iaido, dato che non giriamo con la katana infilata nell’obi nella vita di tutti i giorni (e anche se lo facessimo, il risultato sarebbe lo stesso). Per non parlare del fatto che non siamo più bambini. Tuttavia…
Tuttavia c’è sempre qualcuno che, non contento, porta il discorso ad un altro livello: ovverosia cosa sia meglio tra Do (道 Via) e Jutsu (術 Tecnica), preferendo in genere il secondo al primo perché sarebbe più efficace. Quindi ormai è un fiorire o riscoprire “antiche tecniche dimenticate” di quando ai “bei vecchi tempi” si praticava per davvero e, guarda caso, hanno tutte il suffisso Jutsu attaccato alla coda: jujutsu, aikijutsu, kenjutsu, iaijutsu, ninjutsu e così via. A parte il fatto che il kenjutsu non ha bisogno di essere riscoperto perché praticato abitualmente almeno in parecchie scuole di iaido, bisogna ricordare che questa sorta di deriva tradizionalista non è affatto nuova. Già ai tempi della Pax Tokugawa quando, per non far estinguere le scuole di spada esistenti, cominciarono ad organizzarle sistematicamente attraverso una serie di forme predisposte (kata), molti lamentavano che queste forme avrebbero impedito ai samurai di improvvisare e a reagire efficacemente ai pericoli dei campi di battaglia . Ma, allora come adesso, le battaglie di quel tipo sono finite e, sfortunatamente, abbiamo trovato modi nuovi e molto più efficienti per ucciderci a vicenda.
Dobbiamo all’opera rivoluzionaria di Jigoro Kano l’introduzione del suffisso Do (道 Via) al posto di Jutsu (術 Tecnica) nelle arti marziali praticate oggi:
“All’epoca esistevano ancora alcuni esperti di bujutsu (arti marziali), ma il bujutsu era stato quasi abbandonato interamente. Anche se avessi voluto insegnare jujutsu, la maggior parte delle persone non erano interessate. Quindi ho pensato che fosse meglio insegnarlo con un nome diverso principalmente perché i miei obiettivi erano molto più ampi del jujutsu. Jigoro Kano2
Nella sua visione, l’arte marziale da lui insegnata (il judo), avrebbe dovuto avere un aspetto educativo che era preponderante rispetto alle tecniche (Jutsu) delle antiche arti marziali praticate dai samurai delle epoche precedenti. Un’altra riflessione che si può fare riguarda invece il significato “spirituale” che viene dato alla Via (Do), che spesso oscura se non addirittura distorce gli altri elementi presenti nelle varie arti marziali praticate oggi. Credo che si debba sempre considerare che, nel budo, il Do senza Jutsu non ha senso di esistere, e il Jutsu senza Do è solo una pratica fine a se stessa di tecniche violente. Se, come ci ha insegnato il fondatore del judo, vogliamo dare un forte aspetto educativo alle arti che pratichiamo e insegniamo, non possiamo che impegnarci nella pratica della Tecnica (Jutsu) nel rispetto della Via (Do). Dove poi ci conduce la Via è un’altra storia…
- “Il mio nome è Remo Williams” Guy Hamilton (1985).
- “A History of Judo” Syd Hoare (2009).