C’è un elefante nella stanza…
C’è un elefante nella stanza delle arti marziali (forse più di uno) e questo pachiderma si chiama denaro.
Bene o male è una verità accettata che non possiamo vivere senza soldi. Ci possono essere divergenze di opinione al riguardo, come chi individua nel denaro l’origine di ogni male e chi, invece, lo idolatra facendone una ragione di vita. Comunque ci collochiamo in questo ampio spettro, la sostanza non cambia: senza soldi non si può vivere. Eppure quando introduciamo questo argomento nel nostro mondo (e altri che confinano con il nostro, chiedere ad esempio agli insegnanti di yoga) sembra che il denaro perda tutta la sua importanza e diventi solo un argomento imbarazzante. Come quando ci riferiamo allo zio “strano” nelle riunioni di famiglia e cambiamo velocemente argomento.
Ora, sgomberiamo subito il campo da un malinteso: è estremamente improbabile diventare milionari insegnando e praticando arti marziali e non parlo degli atleti top che combattono nei circuiti MMA (e anche lì non è che siano tutti Conor Mc Gregor, solo per citare uno dei più famosi). Noi, normali praticanti e insegnanti, non lo facciamo per arricchirci, ma per passione. E qui, tolto un malinteso, ne entrano prepotentemente altri, portatori di nefaste conseguenze.
La prima è che, poiché siamo consumati dal fuoco sacro delle arti marziali, dovremmo insegnare gratuitamente o quasi. Del resto la nostra è più una missione che un lavoro, quindi cosa vogliamo, anche di essere pagati? Se lo dicessero a qualcun altro, intendo un idraulico, un avvocato, un medico o un impiegato, questi risponderebbero con una grande risata. E se a queste persone, che presumibilmente lavorano, venisse chiesto di lavorare gratuitamente, giustamente rifiuterebbero, a meno che non siano costrette a farlo.
Perché succede questo? Perché in fondo il mestiere di insegnante di arti marziali non è considerato un vero lavoro. Nel migliore dei casi è una sorta di “missione”, nel peggiore dei casi un hobby. Peccato che l’insegnante professionista di arti marziali abbia tutte le esigenze di tutti gli altri professionisti, anzi forse qualcuno di più. L’insegnante serio ha il dovere di aggiornarsi continuamente, confrontandosi con altri insegnanti, soprattutto di livello superiore. E tutti questo costa. Perché seminari, viaggi e lezioni hanno un prezzo.
“Prima della pandemia andavo in Giappone due o tre volte l’anno per aggiornarmi, frequentare seminari e incontrare docenti di altre scuole che altrimenti non avrei mai incontrato, non certo per andare in vacanza. Ora che la situazione si sta normalizzando spero di poter ricominciare, ma per fare questo servono molti soldi.” Andrea Re Sensei
Per non parlare degli altri costi. Chiunque possieda un dojo sa quanto costano l’affitto, le bollette, l’assicurazione, le tasse e le attrezzature. Anche chi insegna in un centro dove condivide lo spazio con altri ha costi non sempre sostenibili. Uniformi, bokken e iaito e katane hanno spesso un costo considerevole. Per non parlare della cosa più importante, che è la competenza e l’esperienza necessarie per insegnare. Eppure tutto questo non viene considerato.
A questo bisogna aggiungere l’atteggiamento di alcuni sensei che ritengono “immorale” chiedere un compenso, qualunque esso sia, per insegnare le loro arti e condannano senza appello i colleghi che “insistono” per essere pagati. A sostegno della loro idea portano ad esempio le vite modello di maestri del passato che facevano altri mestieri e insegnavano solo per passione o, peggio ancora, fanno riferimento alla falsa credenza sui samurai che disgustavano il vil denaro, dimenticando che i loro signori pagavano per i loro servizi. (Tornerò sui samurai in altri post). Ovviamente, se vogliono insegnare gratuitamente, possono farlo senza problemi, a patto che non si arroghino il diritto di giudicare chi non lo fa, accusandolo di avidità e di alimentare il nefasto mondo dei McDojo.
Infine, ma non meno importante, c’è la categoria degli insegnanti che si vergognano di chiedere di essere pagati o che non sanno quale sia il loro valore di mercato. Anche qui bisogna essere chiari:
“Più recentemente, l’istituto di ricerca IBISWorld ha condotto un esame che ha stabilito che l’industria delle arti marziali tradizionali […]ha generato circa 4 miliardi di dollari di entrate globali nel 2018, con un tasso di crescita del 4,2%. È piuttosto impressionante per quella che molti considerano un’impresa di nicchia.1
E il trend continua anche dopo la pandemia. Quindi sì, facciamo parte di un’industria, che ci piaccia o no. Il fatto è che molti di noi non hanno un’educazione economica adeguata proprio perché siamo abituati a considerare l’insegnamento come una “missione” e non come un lavoro. Ma ora lo sappiamo. Questo è un punto essenziale che dobbiamo sempre tenere a mente, per essere sempre più dei veri professionisti e per cambiare sia il nostro atteggiamento nei confronti del denaro, sia come veniamo percepiti dall’esterno, magari chiedendo aiuto e consigli agli esperti del settore. Il confine tra i McDojo e noi può essere molto sottile ma si può mantenere facendo chiarezza, praticando e tenendo sempre presenti i valori che ci contraddistinguono. Ma siamo sicuri di sapere davvero quali sono questi valori?
- “Martial Arts and Your Life. The Story of Us. What We Do and Why” – Lawrence Kane, Kris Wilder (2022)