“Noi pochi, noi pochi felici, noi banda di fratelli”1
Studia, pratica, ricerca, e poi studia, pratica, ricerca e così via ancora e ancora. Santo cielo, è praticamente un lavoro! Ma noi vogliamo solo divertirci!
Sicuramente è un lavoro per molti di noi. È una professione con la quale paghiamo affitto e bollette varie (ah i soldi, croce e delizia dell’insegnamento delle arti marziali, ma ci tornerò sopra in un altro post). Quindi per noi professionisti è normale impegnarsi, studiare, esercitarsi, ecc. È il nostro lavoro e, spero, la nostra passione. Ma per tutti gli altri? Per chi “vuole solo divertirsi”? Ecco, qui la questione si fa scivolosa, soprattutto oggi che abbiamo poco tempo, e il tempo che abbiamo di solito lo usiamo male. La verità è che se vogliamo praticare le arti marziali dobbiamo impegnarci. Dobbiamo essere sicuri di voler investire il nostro tempo prezioso nella pratica di una disciplina che richiede un impegno costante. Non è così divertente eh?
Una volta, prima di entrare a far parte a pieno titolo della famiglia del dojo ci poteva volere più di un anno, durante il quale gli aspiranti studenti venivano messi alla prova. La costanza e la serietà venivano messe alla prova e, coloro che avevano dimostrato di voler davvero imparare, venivano accolti nella scuola. Per intenderci non è che in quel “periodo di prova” gli studenti non partecipassero alla vita del dojo e non ricevessero gli insegnamenti, tutt’altro. Tuttavia, gli insegnanti più anziani volevano essere sicuri di investire il loro tempo in studenti che fossero sinceramente interessati all’apprendimento. Oggi, quando entriamo in un dojo quel tipo di atteggiamento non c’è più. I tempi sono cambiati e noi con loro.
Mi dispiace dirlo, ma imparare un’arte marziale non è come andare in palestra, o allenarsi in uno dei tanti corsi di fitness che ci sono in giro. Non si tratta solo di mettersi in forma o imparare l’autodifesa (qualunque cosa questo significhi). È qualcosa di diverso, e qui entrano in gioco i doveri.
Ma quali doveri ci sono nell’imparare le arti marziali? Troppo spesso sento alunni esperti e, purtroppo, anche insegnanti lamentarsi che i “nuovi studenti” o le “nuove generazioni” non vogliono impegnarsi. Ai vecchi tempi era diverso, c’era più voglia di sacrificarsi, ecc. Penso che si capisca cosa intendo. Beh, non è proprio così. Al netto di chi davvero se ne frega di imparare e che scambia il dojo per un qualsiasi centro fitness, gli altri sono, o meglio sarebbero, interessati a praticare e studiare davvero. E a questo punto di chi è la responsabilità? Degli studenti che non sanno niente, o nostra che, invece di insegnare, brontoliamo e ci lamentiamo?
Noi, insegnanti e studenti anziani, abbiamo la responsabilità di accogliere e spiegare ai nuovi come funzionano le cose nel dojo. Che non si tratta solo di fare qualche inchino (e spesso qualcuno non sa nemmeno come farlo e perché) o indossare una divisa che, almeno nel caso dello iaido, rende elegante chiunque, per non parlare del possibilità di maneggiare una spada… Abbiamo la responsabilità primaria di insegnare queste cose fin dal primo giorno, senza essere pedanti o indulgere in un senso di superiorità mal posto.
Non vorrei fare paragoni azzardati, ma entrare in un dojo è come entrare in un club. Hai presente uno di quei bei club inglesi con le pareti di quercia e le poltrone imbottite, dove ci sono membri più o meno distinti o stravaganti2 e dove puoi diventare un affiliato solo tramite presentazione o cooptazione? Ecco, quella roba lì. Proprio come nei club, nel dojo ci sono ruoli e regole che dobbiamo conoscere per farne davvero parte. Queste regole ci distingueranno nella vita di tutti i giorni, non certo il fatto di poter sferrare un calcio volante o affettare qualcuno con una katana. Farne parte non è per tutti, e non è una questione di rango sociale, genere, religione, età, etnia o cooptazione. È una questione di interesse e curiosità che, grazie all’aiuto delle “vecchie volpi”, può trasformarsi in un impegno costante e continuativo nel tempo.
- “Enrico V“, Atto 4 Scena 3 William Shakespeare (1599 circa).
- Come il Drones Club descritto nei libri di P.G. Wodehouse, o il Diogenes Club presente in alcuni dei racconti di Sherlock Holmes.